雅韵-broth
ALESSANDRO BARICCO
NOVECENTO
Un monologo
Corretto da filuc (2002)
Ho
scritto
questo
testo
per
un
attore,
Eugenio
Allegri,
e
un
regista,
Gabriele
Vacis. Loro ne hanno fatto uno spettacolo che ha debuttato al festival di Asti nel
luglio di quest'anno. Non so se questo sia sufficiente per dire che ho scritto un
testo teatrale: ma ne dubito. Adesso che lo vedo in forma di libro, mi sembra
piuttosto un testo che sta in bilico tra una vera messa in scena e un racconto da
leggere
ad
alta
voce.
Non
credo
che
ci
sia
un
nome,
per
testi
del
genere.
Comunque,
poco importa. A me sembra una bella storia, che valeva la pena di raccontare. E mi
piace pensare che qualcuno la legger
à
.
A.B.
Settembre 1994
Per Barbara
Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva.
è
una
cosa
difficile
da
capire.
Voglio
dire...
Ci
stavamo
in
pi
ù
di
mille,
su
quella
nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era
sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Magari era l
ì
che stava
mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte... magari era l
ì
che si stava
aggiustando i pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il
mare...
e
la
vedeva.
Allora
si
inchiodava,
l
ì
dov'era,
gli
partiva
il
cuore
a
mille,
e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso
la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l'America. Poi rimaneva l
ì
, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno
che l'aveva fatta lui l'America. La sera, dopo il lavoro, e le domeniche, si era
fatto
aiutare
dal
cognato,
muratore,
brava
persona...
prima
aveva
in
mente
qualcosa
in compensato, poi... gli ha preso un po' la mano, ha fatto l'America...
Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'
è
uno. E non bisogna
pensare che siano cose che succedono per caso, no... e nemmeno per una questione
di diottrie,
è
il destino, quello. Quella
è
gente che da sempre c'aveva gi
à
quell'istante
stampato
nella
vita.
E
quando
erano
bambini,
tu
potevi
guardarli
negli
occhi, e se guardavi bene, gi
à
la vedevi, l'America, gi
à
l
ì
pronta a scattare, a
scivolare
gi
ù
per
nervi
e
sangue
e
che
ne
so
io,
fino
al
cervello
e
da
l
ì
alla
lingua,
fin
dentro
quel
grido
(gridando),
AMERICA,
c'era
gi
à
,
in
quegli
occhi,
di
bambino,
tutta l'America.
L
ì
, ad aspettare.
Questo me l'ha insegnato Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, il pi
ù
grande
pianista
che
abbia
mai
suonato
sull'Oceano.
Negli
occhi
della
gente
si
vede
quello
che vedranno, non quello che hanno visto. Cos
ì
, diceva: quello che vedranno.
Io
ne
ho
viste,
di
Americhe...
Sei
anni
su
quella
nave,
cinque,
sei
viaggi
ogni
anno,
dall'Europa
all'America
e
ritorno,
sempre
a
mollo
nell'Oceano,
quando
scendevi
a terra non riuscivi neanche a pisciare dritto nel cesso. Lui era fermo, lui, ma
tu, tu continuavi a dondolare. Perch
é
da una nave si pu
ò
anche scendere: ma
dall'Oceano... Quando c'ero salit/tld/o, avevo
diciassette
anni.
E
di
una
sola
cosa
mi
fregava,
nella
vita:
suonare
la
tromba.
Cos
ì
quando
venne
fuori
quella
storia
che
cercavano
gente
per
il
piroscafo,
il
Virginian,
gi
ù
al porto, io mi misi in coda. Io e la tromba. Gennaio 1927. Li abbiamo gi
à
i
suonatori, disse il tizio della Compagnia. Lo so, e mi misi a suonare. Lui se ne
stette
l
ì
a
fissarmi
senza
muovere
un
muscolo.
Aspett
ò
che
finissi,
senza
dire
una
parola. Poi mi chiese:
Gli si illuminarono gli occhi.
è
, allora
è
jazz.
Poi fece una cosa strana con la bocca, forse era un sorriso, aveva un dente
d'oro proprio qui, cos
ì
in centro che sembrava l'avesse messo in vetrina per
venderlo.
ù
.
Lass
ù
voleva dire sulla nave. E quella specie di sorriso voleva dire che mi
avevano preso.
Suonavamo
tre,
quattro
volte
al
giorno.
Prima
per
i
ricchi
della
classe
lusso,
e poi per quelli della seconda, e/mkbl/ ogni tanto
si
andava
da
quei
poveracci
degli
emigranti
e
si
suonava
per
loro,
ma
senza
la
divisa,
cos
ì
come veniva, e ogni tanto suonavano anche loro, con noi. Suonavamo perch
é
l'Oceano
è
grande, e fa paura, suonavamo perch
é
la gente non sentisse passare il
tempo,
e
si
dimenticasse
dov'era
e
chi
era.
Suonavamo
per
farli
ballare,
perch
é
se
balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perch
é
è
la musica
su cui Dio balla, quando nessuno lo vede.
bel
nome,
disse
alla
fine
il
vecchio
Boodmann,
ò
gli
manca
qualcosa.
Gli
manca
un
gran
finale.
Era
vero.
Gli
mancava
un
gran
finale.
marted
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